In occasione del Giorno della Memoria, Rai 1 propone alle 22:30 il film “Un sacchetto di biglie“, che segue lo speciale “Binario 21”, condotto dalle 20:35 da Fabio Fazio con la testimonianza di Liliana Segre. La pellicola è tratta da una storia vera? Scopriamolo insieme!
Un sacchetto di biglie: trama
Anche questo film, come i due che sono stati trasmessi l’altroieri e ieri sera su Rai 1 e su Rai 2, rispettivamente “Zack, cane eroe” e “Jojo Rabbit”, racconta la persecuzione degli ebrei e la Shoà dal punto di vista delle persone più fragili: i bambini. “Un sacchetto di biglie“, pellicola del regista franco – canadese Christian Duguay uscita nel 2017, ha come protagonisti due fratelli ebrei parigini: Joseph e Maurice Joffo.
L’occupazione tedesca della Francia, avvenuta tra il 10 maggio ed il 25 giugno del 1940, ruba loro l’infanzia e la prima adolescenza, in cui tra l’altro giocavano a biglie.
Il padre li fa partire, in modo che possano essere al sicuro, ma dovranno farlo da soli. Si recheranno nel sud del Paese, nella cosiddetta “Zona libera”.
Nel 1942 sarà occupata dai fascisti italiani e poi dai tedeschi, ma almeno all’inizio sembrava che gli ebrei potessero viverci. Joseph e Maurice dovranno cercare, usando il loro ingegno, di non cadere nelle mani delle SS.
E’ ispirato ad una storia vera?
La risposta è sì. E’ tratto dall’omonimo romanzo storico autobiografico di Joseph, Joseph Joffo (Parigi, 2 aprile 1931 – 6 dicembre del 2018).
Lo pubblicò in Francia 1973, mentre in Italia arrivò tre anni più tardi.
Joseph, all’epoca 11enne, ultimo di 7 figli, aveva veramente un fratello di nome Maurice (chiamato come lo zio paterno). Aveva 13 anni.
Il padre, Roman, parrucchiere già fuggito come la moglie violinista Anna Markoff dalla Russia zarista, che perseguitava anch’essa gli ebrei, basandosi sulla propria esperienza diede loro del denaro (20.000 franchi) e preziose indicazioni.
Disse ai due figli di salire prima su un autobus e poi su un treno alla stazione Parigi – Austerlitz, una delle maggiori stazioni della capitale francese. Da subito la fuga di Joseph e Maurice si rivelò una sfida e non solo per l’età che avevano.
La vinsero anche a persone amiche che incontrarono per via, primo fra tutti un prete che il salvò dalla Gestapo mostranso dei documenti falsi secondo cui i ragazzi erano battezzati.
Poi trovarono una guida che riuscì a farli arrivare a Mentone, dove c’erano già i due fratelli più grandi, Henri e Albert, e infine un altro personaggio che li portò a Nizza, come avrebbe voluto il genitore. Joseph e Maurice sopravvissero dopo mille pericolose avventure.
Il più piccolo teneva con sé in tasca un sacchetto di biglie, simbolo dell’infanzia perduta e ricordo del padre, ucciso ad Auschwitz – Birkenau alla fine del ’43.
La storia dell’ex “bambino dell’Olocausto” ispirò già un film intitolato “Un sacchetto pieno di biglie“, diretto dal regista Jacques Doillon nel 1975.
Dopo l’orore della Shoà, i fratelli Joffo lavorarono come parrucchieri nel negozio paterno, riuscendo anche diventare una catena. Nella foto sotto, da sinistra a destra: Joseph, Albert (l’immagine è stata pubblicata su Facebook dal figlio Robert), Maurice e Henri fuori dal negozio.
A un certo puntp Joseph si infortunò facendo sport e l’ “immobilismo” a cui fu costretto per un periodo, gli fece decidere raccontare per iscritto quello che era successo alla sua famiglia. Sentiva di doverlo innanzitutto ai tre figli e ai nipoti. Joseph Joffo scrisse molti altri romanzi.